In questi giorni, con lo sgombero del centro sociale Cox 18 e della libreria Calusca, si è reso ancor più drammaticamente manifesto come Milano presenti un grave problema di spazi di socialità e di produzione di cultura. Dove per cultura, alla nostra semplicità contadina piace intendere quella vera, autentica e sincera che proviene dal basso, che si autofinanzia per non prostituirsi ai ricatti dei patrocini istituzionali. In nome dell’Expo, del “quieto vivere” e del Dio denaro, il comune, la prefettura e la questura vorrebbero fare piazza pulita di questi ultimi retaggi di libertà che coraggiosamente, pur nelle loro contraddizioni e nel loro piccolo, resistono alla progressiva avanzata della mercificazione dei rapporti umani. E con che cosa, lorsignori, vorrebbero sostituire questi luoghi? Semplice, con dei non-luoghi: un nuovo supermercato, una nuova agenzia interinale, una nuova società di consulenza aziendale piuttosto che un nuovo C.P.T. o un nuovo carcere…
Sì, ma che centra l’università con tutto questo? Purtroppo, che lo si voglia o meno, anche l’università si sta trasformando lentamente in un non-luogo, un semplice esamificio dove si entra solo per consumare una noiosissima lezione ed acquisire crediti che saranno realmente spendibili solamente per quei pochi lacchè che non andranno a lavorare in un call-center…
In definitiva, potremmo scorgere nelle facoltà universitarie quasi uno specchio, in miniatura, di ciò che accade intorno ad esse, cioè nel resto della città. Ecco spiegato perché a Scienze Politiche il preside racconta da anni la favoletta che non esisterebbero spazi disponibili per fare altro (aggregazione, socialità, produzione di materiali critici); ecco perché è stata chiusa con delle sbarre costosissime (per le nostre tasche, non certo per quelle di chi vi attinge a piene mani) la “vietta” dietro l’aula 10, con l’ennesima, divertentissima favoletta del Checchi che questa volta raccontava di abitanti degli edifici adiacenti che avrebbero chiamato preoccupati i pompieri a causa del fuoco sprigionato dalle sigarette degli universitari… Ed ecco infine perché sgomberano l’aula 26 che era stata liberata e restituita alle esigenze degli studenti…
Non c’è altra spiegazione: in vista dell’Expo, scienze politiche, assieme alle altre facoltà, DEVE uniformarsi alle operazioni di decoro imposte dal comune, dalla prefettura e dalla questura. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza continua e asfissiante della Digos nei cortili, nei corridoi e nelle aule, i rapporti sempre più stretti e quotidiani tra di essa ed il preside. Non si spiegherebbe il tentativo di mettere gli studenti e i gruppi politici gli uni contro gli altri, attraverso un’operazione degna dei tempi dell’inquisizione, con cui 5 studenti sono stati messi alla gogna e minacciati di denuncia per interruzione di pubblico servizio solo perché seduti in un’aula libera da lezioni ed esami…
Secondo noi, chi interrompe un pubblico servizio è il professore mai presente durante il suo orario di ricevimento, il direttore bibliotecario che chiude alle 18:50 quando la maggioranza degli studenti-lavoratori esce dagli uffici, è il preside che chiude a chiave le aule libere (per poi minacciare di denuncia chi rivendica di entrarvi). Chi si nasconde dietro alla bugia che non ci sarebbero spazi e costringe gli studenti a studiare sui gradini. Chi non concede aule per assemblee e seminari, costringendo gli studenti ad organizzarsi nel gelo del cortile. Interruttore di pubblico servizio è chi inventa cattedre per sistemare gli amici e gli amici degli amici. Interruttore di pubblico servizio sono tutte le Fernanda Decleva (mogli del nostro Vergognoso rettore) che pilotano concorsi per professori associati. E che non sempre si beccano, come in questo caso, un anno di reclusione per abuso d’ufficio dalla corte d’appello di Firenze.
Sì, ma che centra l’università con tutto questo? Purtroppo, che lo si voglia o meno, anche l’università si sta trasformando lentamente in un non-luogo, un semplice esamificio dove si entra solo per consumare una noiosissima lezione ed acquisire crediti che saranno realmente spendibili solamente per quei pochi lacchè che non andranno a lavorare in un call-center…
In definitiva, potremmo scorgere nelle facoltà universitarie quasi uno specchio, in miniatura, di ciò che accade intorno ad esse, cioè nel resto della città. Ecco spiegato perché a Scienze Politiche il preside racconta da anni la favoletta che non esisterebbero spazi disponibili per fare altro (aggregazione, socialità, produzione di materiali critici); ecco perché è stata chiusa con delle sbarre costosissime (per le nostre tasche, non certo per quelle di chi vi attinge a piene mani) la “vietta” dietro l’aula 10, con l’ennesima, divertentissima favoletta del Checchi che questa volta raccontava di abitanti degli edifici adiacenti che avrebbero chiamato preoccupati i pompieri a causa del fuoco sprigionato dalle sigarette degli universitari… Ed ecco infine perché sgomberano l’aula 26 che era stata liberata e restituita alle esigenze degli studenti…
Non c’è altra spiegazione: in vista dell’Expo, scienze politiche, assieme alle altre facoltà, DEVE uniformarsi alle operazioni di decoro imposte dal comune, dalla prefettura e dalla questura. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza continua e asfissiante della Digos nei cortili, nei corridoi e nelle aule, i rapporti sempre più stretti e quotidiani tra di essa ed il preside. Non si spiegherebbe il tentativo di mettere gli studenti e i gruppi politici gli uni contro gli altri, attraverso un’operazione degna dei tempi dell’inquisizione, con cui 5 studenti sono stati messi alla gogna e minacciati di denuncia per interruzione di pubblico servizio solo perché seduti in un’aula libera da lezioni ed esami…
Secondo noi, chi interrompe un pubblico servizio è il professore mai presente durante il suo orario di ricevimento, il direttore bibliotecario che chiude alle 18:50 quando la maggioranza degli studenti-lavoratori esce dagli uffici, è il preside che chiude a chiave le aule libere (per poi minacciare di denuncia chi rivendica di entrarvi). Chi si nasconde dietro alla bugia che non ci sarebbero spazi e costringe gli studenti a studiare sui gradini. Chi non concede aule per assemblee e seminari, costringendo gli studenti ad organizzarsi nel gelo del cortile. Interruttore di pubblico servizio è chi inventa cattedre per sistemare gli amici e gli amici degli amici. Interruttore di pubblico servizio sono tutte le Fernanda Decleva (mogli del nostro Vergognoso rettore) che pilotano concorsi per professori associati. E che non sempre si beccano, come in questo caso, un anno di reclusione per abuso d’ufficio dalla corte d’appello di Firenze.
Assemblea studenti di Scienze Politiche
scienzepolitichemilano@inventati.org
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